La vera storia di Anna Politkovskaja. Anni Novanta.

Chi era Anna Politkovskaja, la reporter russa che osò denunciare il regime di Vladimir Putin, gli eccidi della guerra in Cecenia e gli orrori perpetrati da Ramzan Kadyrov?

Per scrivere il mio romanzo Anna Politkovskaja. Reporter per amore edito da Morellini ho studiato la sua vita. Letto i libri che ha scritto e che su di lei sono stati scritti. Ho intervistato le persone che le sono state vicine: la sorella Elena, l’amica Nadia, l’inviata Stella Pende… Poi, intorno alla sua biografia, ho costruito una cornice narrativa che ha reso più accattivante la sua biografia, già però molto avvincente.

A seguire, un capitolo alla volta, ecco la biografia, completa e approfondita, di Anna Politkovskaja, la grande reporter russa che, fino all’ultimo, fu una spina nel fianco per Vladimir Putin, Ramzan Kadyrov e tutti i soldati russi che, in Cecenia, si macchiarono di reati gravissimi.

Questa è la terza puntata. La seconda è: E arriva Gorbaciov

Ecco la vera storia di Anna Politkovskaja.

Anni Novanta

“È un periodo di desideri, sogni, speranze, democrazia”

“Anna era figlia della perestrojka. Ma anche dei giorni appassionati e convulsi che seguirono. Quelli che ci videro in piazza. Prima nel 1991 e poi nel 1993. Anna aveva partecipato in prima persona alle manifestazioni insieme a me, che a quei tempi ero molto più esposto di lei, come giornalista e deputato della Duma”. Bastano queste parole per far capire che, se gli anni Ottanta erano stati pieni di accadimenti, i Novanta non saranno da meno, per lei, la sua famiglia e suo il Paese.

Sasha ricorda quei momenti: “Anna era una donna colta, intelligente e vivace. D’altra parte, non è che i suoi interessi, quando poi decise di buttarsi nel giornalismo, fossero spuntati dal nulla: negli anni della perestrojka tutte le sere c’erano a casa nostra intellettuali, politici, giornalisti, le persone che frequentavo per lavoro o per amicizia. E lei era a pieno titolo parte di quell’ambiente. Convinta e battagliera come sempre. Ricordo che quando mi arrivava il ‘consiglio’ di non andare a certe manifestazioni per non compromettermi, e succedeva spesso, io rispondevo sempre: ‘Tanto, se non vado io, ci va mia moglie…’”.

Racconta la sorella: “Era una sognatrice. E sognava che il suo Paese potesse migliorare in fretta”.

La vera storia di Anna Politkovskaja. Anna giovane

Ciò che sta per accadere era già nell’aria da tempo. Il campanello d’allarme più sonoro squilla il 9 novembre 1989 quando, dopo quasi trent’anni, cade il muro di Berlino. La Germania Est, riunificandosi alla Germania Ovest, esce dal raggio di influenza dell’Urss.

Il 1991 è l’anno in cui cambia tutto: per Mikhail Gorbaciov, l’Urss e il mondo intero. A gennaio, deve fronteggiare le istanze delle repubbliche baltiche, che chiedono l’indipendenza. Ad agosto, assiste impotente a un tentato colpo di stato contro di lui, mentre è in vacanza nella sua dacia in Crimea. Il primo luglio, si scioglie il Patto di Varsavia. Il primo dicembre, un referendum in Ucraina vede l’indipendenza affermarsi con il 92% dei voti.

All’inizio Gorbaciov reagisce male, lotta. Poi, a fine dicembre, dopo aver rassegnato le dimissioni, appare quasi sollevato.

“Presa una decisione, non ci si pensa più. È una scelta logica e del resto non è nemmeno inattesa. L’avevo detto: se il processo di riforma del nostro Stato multinazionale avesse superato la soglia di disgregazione dell’Urss, non ci sarebbe stato posto per me. Adesso inizia un’altra vita” dichiara.

In Europa e Usa “Gorby”, nel 2021 novantenne (è nato nel 1931), era molto amato. Fra le altre onorificenze, viene insignito del Nobel per la pace, nel 1990. In patria lo è un po’ meno. Periodicamente, viene annunciata la sua morte (per errore o per dispetto?) e i commenti negativi online si sprecano. I più gentili gli danno del “traditore”. A non essere perdonata, in molti casi, è la sua simpatia nei confronti dell’Occidente.

Spiega Marcello Flores, storico esperto di comunismo: “Gorbaciov sapeva fare politica, era affabile e aveva buoni rapporti internazionali, perciò i leader occidentali vedevano di buon occhio le sue riforme. Ma i risultati non furono molto positivi”. E prosegue: “Pagò lo scotto delle sue posizioni centriste e fu preso in mezzo da chi voleva un ritorno alla vecchia repressione dura del partito e da chi invece voleva riforme e aperture più radicali”.

Alla fine è Boris Eltsin a metterlo all’angolo. Dal primo gennaio 1992, la Russia dichiara la propria indipendenza dall’Urss, decretandone la fine vera e propria.

Boris Eltsin La vera storia di Anna Politkovskaja

Boris Eltsin in molti aspetti somiglia al suo predecessore: classe 1931 (nato un mese prima di Gorby), istruzione universitaria (era ingegnere), lunga gavetta nel partito. Viene eletto presidente nella neonata Repubblica russa con il 57% dei voti.

La sua linea politica pigia l’acceleratore sulle misure pensate per cambiare il volto del Paese, dalle privatizzazioni al libero mercato. Una terapia per molti versi shock, dettata dagli Stati Uniti e dal Fondo monetario internazionale. Con conseguenze non sempre positive, anzi. Il Pil e la produzione industriale crollano. La crisi economica dilaga, con un tasso di povertà che passa dall’1,5% dell’epoca tardo sovietica al 40-50%. Le privatizzazioni creano una fascia di nuovi ricchi che portano i capitali all’estero. Sono i cosiddetti oligarchi, che acquistano le aziende privatizzate. La recessione economica fa collassare i servizi sociali, abbatte il tasso di natalità e l’aspettativa di vita (64 anni in media). L’inflazione tocca il picco del 2500%. Aumentano disoccupazione, criminalità e corruzione.

Fra il 2 e il 4 ottobre del 1993 le forze armate, su ordine di Eltsin, bombardano la Duma, ovvero il Parlamento russo, colpevole di essersi opposto alle manovre giudicate illegali e incostituzionali del governo da lui presieduto.

Gli scontri arrivano nelle strade e mettono gli uni contro gli altri i militari e i 100mila cittadini che sostengono i parlamentari. Conseguenze? Centinaia di vittime fra i manifestanti e decine fra i parlamentari.

Viene varata una nuova costituzione, ma la mossa non basta a salvare la situazione.

Non solo, le minacce arrivano anche dall’esterno. E fa il suo ingresso in questa vicenda una nazione, e un popolo, che saranno decisivi nella storia di Anna Politkovskaja. Parliamo della Cecenia, piccola repubblica sulle montagne del Caucaso. Ha la superficie del Lazio e all’epoca conta circa un milione di abitanti (l’equivalente della popolazione odierna di Napoli). Situata nel sud ovest del Paese, vicina alla Georgia e al mar Nero, ha come capitale Grozny, che dista da Mosca 1.800 Km. Piccola, periferica, poco popolata. Ma non poco importante. Anzi. Incastonata fra le montagne del Caucaso settentrionale, infatti, la Cecenia è ricca di petrolio. Non solo, le rotte di accesso al Mar Nero e al Mar Caspio che l’attraversano, così come i collegamenti petroliferi, la rendono una regione di importanza strategica per la Russia.

Cecenia la vera storia di anna politkovskaja

 

Proprio la Cecenia avrà un peso fondamentale nelle vicende della Russia e, ça va sans dire, in quelle della nostra Politkovskaja.

La Cecenia vuole l’indipendenza dalla Russia. Nel 1994 Eltsin le dichiara guerra, ma quello che segue è un conflitto lampo: due anni.

Nel 1996 le elezioni vedono Eltsin rieletto per il rotto della cuffia. La sua popolarità è in caduta libera e la sua salute precaria. È un accanito fumatore e bevitore. La rivista tedesca Der Spiegel lo definisce “lo zar ubriaco”. L’ex presidente Usa Bill Clinton, che si trovò a incontrarlo più volte, ne racconta aneddoti poco edificanti, legati all’abitudine del leader russo di alzare troppo (e troppo spesso) il gomito. Come quella notte in cui, ubriaco e in mutande, venne trovato a vagare nei pressi della Casa Bianca alla ricerca di una pizza. O quando, davanti a decine di giornalisti, durante una conferenza stampa a New York, in evidente stato di alterazione, definì la stampa americana “un disastro”. Clinton, da ottimo padrone di casa, la buttò sul ridere e tutto finì lì.

Eltsin e Clinton La vera storia di Anna Politkovskaja

L’ex presidente Usa svela inoltre che faceva in modo di chiamarlo sempre presto la mattina, nella speranza che fosse ancora sobrio. Pena il sentirsi fare proposte piuttosto stravaganti, come quella volta in cui Boris lo invitò a un summit segreto in un sottomarino.

Alla luce di questo quadro, dai fortissimi chiaroscuri, ora appariranno lampanti i motivi che portano Anna e Sasha a manifestare in piazza in quegli anni turbolenti.

In gioco ci sono i diritti, ma anche la sopravvivenza stessa di un Paese illuso da Gorbaciov e deluso da Eltsin. Proiettato nell’economia di mercato e privato dei sostegni statali. Ostaggio di una classe politica non all’altezza e di un gruppo di oligarchi che ha come unico interesse il profitto personale.

Ma Anya e Sasha, come milioni di russi, non si arrendono. Non solo manifestano in piazza, ma grazie al loro lavoro portano anche avanti azioni e opinioni. Sono dei privilegiati, certo. Ma dei privilegiati che scelgono di mettere professionalità, cultura, conoscenze al servizio anche della collettività.

Insieme a molti altri, sono la personificazione di un’immortale frase di sant’Agostino: “La speranza ha due splendidi figli: lo sdegno e il coraggio”.

Tuttavia, il loro impegno comporta uno scotto da pagare. Racconta la figlia Vera: “Ho vissuto tutta la mia vita accanto a giornalisti. Prima mio padre, poi mia madre. Vivere ed essere minacciati: ti abitui e non ci fai più caso. Da piccoli io e mio fratello andavamo a scuola con la scorta. C’erano compagni di banco che ci ignoravano, perché i genitori dicevano loro ‘Attenzione, i genitori di questi ragazzi sono cattivi!’. Questa è stata la mia infanzia”.

La vera storia di Anna Politkovskaja. Anna e i figli piccoli

Anna, nel 1994, inizia a lavorare alla Obščaja Gazeta, un settimanale democratico, fondato nell’agosto del 1991, lo stesso mese in cui il regime comunista era alla fine crollato. I suoi compiti: cronista responsabile della sezione emergenze/incidenti e assistente del direttore Egor Jakovlev. Inoltre, comincia a collaborare anche con radio e tv libere.

Il momento del Paese è difficile, ma c’è anche spazio per segnali positivi. I giornalisti assaporano un interludio di libertà, dopo i lunghi decenni della censura. Il Kgb, temuta e implacabile agenzia di intelligence e polizia segreta, cessa di esistere.

È proprio in questo periodo che le inchieste di Anna iniziano a dare fastidio. E che, per la prima volta, qualcuno prova a farla tacere. Racconta il marito: “Si occupò della lotta tra gli oligarchi Vladimir Potanin e Vladimir Gusinskij per il controllo di Norilsk Nickel, il più grande produttore mondiale di nickel, che doveva essere privatizzato. Vinse Potanin, ma a un certo punto Gusinskij chiamò Anna e le mostrò un dossier diffamatorio che aveva raccolto sulla nostra famiglia. Anna era spaventata, andai a prenderla e parlammo a lungo, seduti in macchina. Lì lei decise che sarebbe andata avanti comunque, anche se temeva il discredito anche più della morte. Lì nacque l’Anna che poi tutti hanno conosciuto”.

Nel frattempo, Alexander, vive una fase travagliata della sua carriera. Cambiano gli equilibri, nel primo canale della tv di Stato non c’è più spazio per lui. Decide quindi di cofondare una nuova società televisiva, Vid. L’anno dopo, la proprietà decide di sospendere la messa in onda dei programmi. Dal 1992, e fino al 1995, conduce Politburo, dove riesce a fare giornalismo investigativo. Racconta ciò che vede, anche quando è drammatico, come i resti della centrale nucleare di Chernobyl. Alla carriera giornalistica, Alexander affianca quella politica: dal 1990 al 1993 viene eletto deputato della Federazione russa. Si batte per la giustizia, fa parte del comitato per i diritti umani.

Eltsin è ancora al potere

“Mi sembra di capire che lei dia su Eltsin un giudizio più positivo rispetto a quello su Putin” viene chiesto ad Anna a Mantova, nel 2005, quando è ospite del Festivaletteratura. E lei risponde così: “Non si tratta di dare valutazioni più o meno positive su Eltsin o su Putin. Io sono una giornalista e devo criticare le cose che vedo che non vanno, sia sotto uno che sotto l’altro. Quello che posso dire è che, con tutte le ambiguità della sua figura politica, Eltsin è riuscito a far finire la Prima guerra cecena, interrompendo lo spargimento di sangue e risparmiando la vita di molte persone. Sotto Eltsin, come giornalisti, lavoravamo del tutto liberamente, potevamo riferire che cosa succedeva in Cecenia. Anche per questo, la guerra è finita. Eltsin, poi, capiva che nel Paese esistevano milioni di poveri, che andavano sostenuti, perché solo così potevano curarsi e istruire i loro figli”.

 

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