Chi era Anna Politkovskaja, la reporter russa che osò denunciare il regime di Vladimir Putin, gli eccidi della guerra in Cecenia e gli orrori perpetrati da Ramzan Kadyrov?
Per scrivere il mio romanzo Anna Politkovskaja. Reporter per amore edito da Morellini ho studiato la sua vita. Letto i libri che ha scritto e che su di lei sono stati scritti. Ho intervistato le persone che le sono state vicine: la sorella Elena, l’amica Nadia, l’inviata Stella Pende… Poi, intorno alla sua biografia, ho costruito una cornice narrativa che ha reso più accattivante la sua biografia, già però molto avvincente.
A seguire, un capitolo alla volta, ecco la biografia, completa e approfondita, di Anna Politkovskaja, la grande reporter russa che, fino all’ultimo, fu una spina nel fianco per Vladimir Putin, Ramzan Kadyrov e tutti i soldati russi che, in Cecenia, si macchiarono di reati gravissimi.
Questa è la diciottesima puntata. La diciassettesima è: Il funerale
Di chi è la colpa?
“Quando scegli la tua strada, la percorri fino in fondo”
Subito dopo il delitto, Vitalij Jaroševskij, vice-direttore della Novaja Gazeta, dichiara: “La prima ipotesi che mi viene in mente è che Anna è stata uccisa a causa del suo lavoro. Non vedo altre motivazioni possibili per questo efferato delitto”. E, fin qui, siamo tutti d’accordo. La vita privata di Anna era così specchiata da far escludere qualsiasi altro movente, per esempio, uno passionale.
Poche settimane dopo, Alexander Litvinenko, ex spia e dissidente afferma: “So chi ha ucciso Anna e sono sicuro che un solo individuo in Russia può uccidere una persona come lei. Una giornalista del suo livello non può essere toccata senza l’assenso del vertice”. I due si erano incontrati nel 2004 a Londra, dopo il tentativo di avvelenamento di Anna, in occasione del sequestro di Beslan.
Improvvisamente Litvinenko si ammala. In ospedale, a Londra, incolpa Putin di essere il mandante sia della sua misteriosa malattia che dell’uccisione di Anna. Alexander muore il 23 novembre 2006, qualche giorno prima di compiere 44 anni. Risulterà poi essere stato avvelenato con le radiazioni del polonio 210.
In effetti, la tentazione di pensare che ci sia Putin dietro alla morte di Anna è forte. Lui però, in un’intervista, si difende così: “L’assassinio della signora Politkovskaja è un grave danno per la leadership russa e specialmente per quella cecena. Un danno molto più grave di qualsiasi articolo di giornale. Questo orribile crimine causa un grande danno morale e politico alla Russia. Danneggia proprio il sistema politico che noi stiamo costruendo, un sistema in cui la libertà d’opinione è garantita a tutti, anche nei mass media”.
L’affermazione sulla libertà di stampa è abbastanza discutibile e decisamente confutabile. Secondo il rapporto annuale di Reporter senza frontiere, nel 2006 nella classifica che certifica la libertà dei media, la Russia perde nove posizioni e si piazza al 147° posto (quell’anno, in testa c’era la Finlandia, l’Italia era quarantesima, al 168° e ultimo posto la Corea del Nord). Secondo Rsf: “Mosca, che soffre di una mancanza basilare di democrazia, continua lentamente ma progressivamente a smantellare i media liberi, con i gruppi industriali vicini al presidente Vladimir Putin che rastrellano quasi tutte le testate indipendenti”.
Ma sulla seconda parte, Putin ha ragione: forse Anna danneggia il Cremlino più da morta che da viva. In fondo, prima, era solo la “pazza di Mosca”. Ora, invece, sembra conquistare un seguito molto maggiore e suscitare una grande eco in tutto il mondo.
Anche Mikhail Gorbaciov ritiene “troppo primitiva” l’ipotesi della sola mano del Cremlino dietro l’omicidio. “Anna era scomoda e non aveva un solo nemico. La sua attività l’aveva portata a concentrare gli sforzi sulla Cecenia e, via via, sulla corruzione nell’esercito e nel Paese. Quindi bisogna indagare in questi due ambiti”.
E l’ambito ceceno ha un nome e un cognome, quello dell’allora primo ministro (e oggi capo) della Cecenia Ramzan Kadyrov. Il sospetto lo instilla la stessa Anna. “Perché Kadyrov vuole uccidermi? Una volta l’ho intervistato e ho pubblicato le sue risposte senza cambiare una virgola, rispettando tutta la loro incredibile stupidità e ignoranza. Kadyrov era convinto che avrei riscritto completamente l’intervista, per farlo apparire più intelligente. In fondo, oggi la maggior parte dei giornalisti si comporta così…”.
Con entrambi Anna era stata molto dura. Ed entrambi, in momenti diversi, li aveva paragonati a Stalin. Anni prima aveva messo sull’avviso i suoi connazionali: “Continuiamo a seminare Putin per raccogliere Stalin”. Kadyrov, invece, lo aveva definito più di recente “lo Stalin dei nostri tempi”.
Sul tema si esprime anche il marito di Anna, Alexander. Già abbiamo visto che era stato ben poco profetico su Kadyrov: aveva previsto che lo avrebbero ammazzato presto e invece nel 2021 lui è, 15 anni dopo, ancora alla guida della Cecenia. Perciò prendiamo con beneficio d’inventario le sue parole, pur ricordando che si tratta di un giornalista navigato, che ben conosce la situazione politica e sociale del suo Paese.
“Putin non c’entra e nemmeno Kadyrov: è un idiota e durerà poco. Secondo me, le ipotesi più credibili sono due. Sono stati dei militari che lei aveva denunciato per le violenze in Cecenia: molti credevano di ottenere gloria e medaglie con quello che facevano, e si sono trovati in carcere o in congedo. Più facile per loro prendersela con Anna che con chi li aveva mandati allo sbaraglio in una guerra sbagliata. Oppure sono stati i nemici di Putin, che hanno voluto ‘avvertirlo’. L’omicidio è avvenuto nel giorno del compleanno di Putin e tra poco più di un anno si vota per il nuovo presidente…”.
È quindi anche possibile che l’omicidio abbia lo scopo, invece, di gettare discredito su Putin o su Kadyrov.
Ulteriore alternativa. E se invece l’assassinio di Anna rappresentasse un “regalo avvelenato” che qualcun altro, un oligarca a scelta, ha voluto fare all’onnipotente Vladimir Putin? O magari, invece, a Kadyrov che, lo ricordiamo, era fresco di compleanno, avendo compiuto 30 anni due giorni prima del delitto?
L’equivalente di uno di quei doni maldestri, come un libro che il festeggiato ha già o un indumento di una taglia sbagliata. Forse, se è così, il donatore in questione avrebbe fatto meglio ad andare più sul classico optando, per dire, per una scatola di sigari o una Magnum di champagne. Anziché commissionare l’omicidio di una giornalista rigorosa, di una donna retta, di una madre affettuosa. Di una futura nonna.
Ovviamente, non è questa la sede di valutazioni politiche e giudiziarie che richiederebbero ben altri spazi e competenze.
Torniamo quindi alla cronaca.
Le indagini sull’assassinio sono lacunose. Si concludono dopo pochi mesi senza l’individuazione dei mandanti. Vengono incriminati due delinquenti comuni ceceni insieme con un funzionario dell’Fsb. Il processo di primo grado si conclude il 19 febbraio 2009 con l’assoluzione dei tre per insufficienza di prove.
Ma esattamente un mese prima, il 19 gennaio, era successo qualcosa di molto drammatico e strettamente connesso alla morte di Anna. Erano stati infatti uccisi a Mosca Stanislav Markelov e Anastasia Baburova. Lui era un avvocato specializzato nell’assistere i ceceni vittime di torture o parenti delle vittime. Al momento della sua morte, si stava occupando dell’omicidio di Anna e aveva detto di aver trovato nuove informazioni su mandanti ed esecutori. Lei, 25 anni, lavorava da qualche mese alla Novaja Gazeta e stava investigando su numerosi casi di omicidio. Aveva cercato di fermare il killer, ma era stata freddata a sua volta con un colpo di pistola.
Il 25 giugno 2009, poi, la Corte Suprema russa annulla la sentenza, accogliendo il ricorso presentato dalla procura. In particolare, la Corte suprema federale annulla la sentenza di assoluzione per Sergej Chadžikurbanov, ex dirigente della polizia moscovita, accusato di essere l’organizzatore logistico del delitto, nonché per i due fratelli Džabrail e Ibragim Machmudov definiti come i presunti “pedinatori” della vittima e per il tenente colonnello Pavel Rjaguzov, uomo dei servizi russi al quale erano contestati reati minori, insieme allo stesso Chadžikurbanov, per avere fornito l’indirizzo della Politkovskaja al gruppo ceceno.
La stampa riporta anche il nome di un terzo fratello, Rustam Makhmudov, qualificandolo come ricercato all’estero per essere il presunto esecutore materiale.
Per le sentenze di condanna, bisogna aspettare il giugno del 2014, quasi otto anni dopo l’omicidio. Ergastolo per il presunto killer Rustam Makhmudov e per il presunto organizzatore, suo zio Lom-Ali Gaitukayev, mentre per gli altri tre sono state previste pene detentive tra i 12 e i 20 anni.
Giustizia fatta? Ni. Manca all’appello, è sempre mancato all’appello, il mandante. Chi ha armato l’arma del commando che il 6 ottobre ha strappato alla vita Anna Politkovskaja?
Se il presunto organizzatore Lom-Ali Gaitukayev ne conosceva il nome, se lo è portato nella tomba. Infatti, il 10 giugno 2017 è morto nella colonia penale in cui era detenuto. L’ufficio stampa del penitenziario come causa della morte indica una “grave patologia cronica”. I parenti di Lom-Ali sostengono invece che sia morto a causa di abusi e maltrattamenti, segnalati già a partire dal 2015.
Su ricorso della madre, della sorella e dei figli di Anna, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha depositato il 17 luglio 2018 una sentenza di condanna nei confronti della Russia per “non avere messo in atto le indagini appropriate per identificare i mandanti” e “aver mancato agli obblighi relativi all’effettività e alla durata delle indagini”.
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