Chi era Anna Politkovskaja, la reporter russa che osò denunciare il regime di Vladimir Putin, gli eccidi della guerra in Cecenia e gli orrori perpetrati da Ramzan Kadyrov?
Per scrivere il mio romanzo Anna Politkovskaja. Reporter per amore edito da Morellini ho studiato la sua vita. Letto i libri che ha scritto e che su di lei sono stati scritti. Ho intervistato le persone che le sono state vicine: la sorella Elena, l’amica Nadia, l’inviata Stella Pende… Poi, intorno alla sua biografia, ho costruito una cornice narrativa che ha reso più accattivante la sua biografia, già però molto avvincente.
A seguire, un capitolo alla volta, ecco la biografia, completa e approfondita, di Anna Politkovskaja, la grande reporter russa che, fino all’ultimo, fu una spina nel fianco per Vladimir Putin, Ramzan Kadyrov e tutti i soldati russi che, in Cecenia, si macchiarono di reati gravissimi.
Questa è la sesta puntata. La quinta è: Anna va al fronte
Ecco la vera storia di Anna Politkovskaja.
L’amore non è un lusso per reporter
“Mio marito mi ha lasciato. Ha bevuto e gozzovigliato molto, e poi se n’è andato. Ma questo non è niente, al confronto con la vita e con la morte”
Da quando inizia a occuparsi della Cecenia, per Anna Politkovskaja il giornalismo smette di essere un lavoro e diventa una missione.
Da un lato, si sente investita dal compito di informare i lettori su ciò che sta accadendo in Cecenia. In una guerra ignorata, sottaciuta. “Io non sfido l’ordine costituito. I giornalisti non fanno questo. Descrivono soltanto ciò di cui sono testimoni. È il loro dovere, così come è dovere del medico curare un ammalato e dovere dell’ufficiale difendere la patria. È molto semplice: la deontologia professionale ci vieta di abbellire la realtà”.
Lo fa andando “sul campo”. Rischiando in prima persona. Denunciando le ingiustizie. Toccando temi nevralgici. Pestando i piedi anche a personaggi potenti.
Ma, fin qui, resta un cronista come tanti, magari solo un po’ più coraggioso e di talento rispetto alla media.
Ciò che rende unica Anna, l’ha fatta arrivare fino a noi e la farà sopravvivere nella memoria per tanto tempo ancora è qualcos’altro.
Spiega la sua traduttrice Anna Raffetto: “A fare la differenza era la sua partecipazione umana alle storie che raccontava. Un po’ come il nostro Enzo Biagi, portava a casa il male degli altri. ‘Lavoro per la gente e il bene della gente’ era solita dire. Ma andava oltre. Aiutava, anche con i suoi soldi, tanti ceceni in difficoltà. So che ha contribuito a salvare, spendendosi in prima persona, tante vite umane”.
Anna diceva: “Quando questa gente viene a sapere che sono una giornalista, mi si aggrappa ai vestiti, alle mani e ai piedi come se fossi una maga e da me dipendesse qualcosa di essenziale, o quasi fossi un immenso camion carico di farina sufficiente per tutti”.
Caporedattore storico della Novaja Gazeta, in redazione dalla fondazione a oggi (salvo un breve intervallo: nel 2017 ha rassegnato le dimissioni, ma i colleghi nel 2019 hanno votato per farlo tornare), Dmitry Muratov è sempre stato molto vicino ad Anna. È stato lui, nell’ultimo periodo, a scoraggiarla dal tornare in Cecenia e consigliarle di avere un stile di vita più prudente. Anni dopo, durante le riprese di un documentario commemorativo a lei dedicato, ha raccontato con un sorriso: “Era gentile con i profughi e urlava con i colleghi. A volte avrei voluto essere un profugo!”
Spiega Nadia Azhgikhina: “Non aveva un matrimonio felice, come molte giornaliste. Si dedicava moltissimo al lavoro. Era una di noi, piena di idee romantiche sulla perestrojka e il giornalismo onesto”.
Anna stava lontana da casa per settimane. E, spesso, anche quando c’era… non c’era. “Tornavo a casa la sera e vedevo dalla finestra che lei era ancora al lavoro. E mi dicevo: ‘Mi bevo due birre al bar, finché lei non va a dormire’” ha raccontato il marito Alexander. Che ha proseguito: “La sua passione era tanta, perfino troppa. L’ha attirata in Cecenia l’idea di poter aiutare concretamente anche un’unica persona soltanto. Voleva scrivere, voleva lavorare. Era sempre in cerca di qualcosa da fare o da scoprire. Sempre pronta a compiere passi importanti. Ci teneva che il suo lavoro desse risultati concreti. Con lei non si poteva mai stare tranquilli. Ma vivere sempre come in cima a un vulcano è impossibile”. Ecco che torna la metafora del vulcano, ora usata da Sasha con un’accezione del tutto diversa.
Ma lui ha detto anche: “Questo non è giornalismo. Questo è scrivere, oppure qualcos’altro”. Queste parole tradiscono l’insofferenza e l’ostilità di Alexander, che però sa anche riconoscere il valore della moglie e del suo impegno: “Ogni riga che scriveva era frutto di mille peripezie. Non ha mai detto ‘non ce la faccio””.
In un giorno del 1999, Anna torna a casa, a Mosca, fresca di reportage su un attacco missilistico russo a largo raggio a Grozny che ha colpito un mercato e un ospedale di ostetricia e maternità, uccidendo decine di persone, tra cui donne e bambini. La immaginiamo stanca, scossa, avvilita, ricolma di un dolore che raccontare in un articolo non le basta a metabolizzare. È da raccogliere con il cucchiaino. Va aiutata e confortata. E invece dal marito si sente dire: “Non ne posso più”.
Per lui non sono anni facili. I fasti del passato sono destinati a non tornare. Cerca di aprirsi varie strade, compresa quella di fondare una sua rete televisiva: Politkovsky Studio. Collabora anche con altre emittenti. Accetta di occuparsi di argomenti diversi, mettendo da parte la politica e la situazione del Paese. Per un periodo, lavora addirittura per il canale “Caccia e Pesca”. Ma è una condizione che gli va stretta e molla. Crede nel giornalismo “puro”, rifugge le derive commerciali. È un tipo intransigente, a tratti ruvido. Sembra che sia anche per questo che non rimane a lungo in nessun posto di lavoro.
Le inquietudini del presente li allontanano. Ma, forse, c’è dell’altro.
In Russia, sono in molti a considerare Anna una “serva dell’Occidente” o addirittura “al soldo dei ceceni”. Il problema è che inizia a crederci anche Sasha. E questo è uno dei motivi alla base della frattura insanabile fra di loro.
Anna si confida con l’amica attivista Zanaip Gashaeva. Che ha poi svelato: “Bisognava scegliere fra lavoro e vita privata e lei aveva scelto, ancora una volta, il lavoro”.
Su questo punto abbiamo sentito anche Nadezda Azhgikhina, una che la conosceva bene. Di quattro anni più giovane, Nadia aveva studiato con Anna e poi ne era diventata collega. Non solo, suo marito (mancato nel 2003) è stato Yury Shchekochikhin, precursore del giornalismo investigativo, nella redazione della Novaja Gazeta, fra i primi a scrivere di Cecenia e diventato modello di riferimento per tanti giovani giornalisti, Anna compresa.
“Non riusciva a separare lavoro, politica, vita personale – confida Nadia –Alcuni colleghi hanno detto che ha cominciato ad andare in guerra dopo la separazione dal marito, come una sorta di compensazione. Io non credo. Era una persona solida, onesta, che credeva nella felicità”.
Anna stessa, in una notte memorabile della sua vita (se ne parlerà più avanti) a un interlocutore di certo particolare fa una rivelazione pesante: “Per quanto riguarda mio marito, il giornalista Alexander Politkovsky, sono contenta che ci siamo lasciati. Era vittima della propaganda ufficiale, beveva e mi diceva che mi ero venduta ai ceceni. Vivere insieme, dopo 22 anni, è diventato impossibile”.
La conclusione della loro storia lui la racconta così: “Forse non eravamo fatti per vivere insieme per sempre. I nostri figli, a dire il vero, si stupivano spesso che avessimo resistito tanti anni. Ben prima di lei avevo ricevuto anch’io pressioni e minacce per le mie denunce. E ho sopportato a lungo le stesse cose che poi sono toccate a lei. Il nostro era stato un grande amore, sbocciato sui banchi di scuola, come nei romanzi. Forse era solo finito, tutto qui”.
Roberto Saviano, molto vicino alla figura della Politkovskaja per indole e vissuto, ci ha detto: “Mi ha sempre colpito che con l’ex marito avesse mantenuto un buon rapporto. Si erano separati perché probabilmente la vita a quel punto si consuma e il sentimento raramente può sopravvivere a uno stress così grande. Raramente ci riesce. Perciò, in genere, alla fine, si arriva a odiarsi. E invece fra loro, e anche con i figli, c’era un ottimo rapporto di fratellanza”.
I due, alla fine, divorziano.
Per dovere di cronaca, Alexander Politkovsky il 15 settembre 2021 ha compiuto 68 anni. Con il ragazzo magro dallo sguardo ardente che 43 anni prima aveva sposato Anna non ha più nulla in comune. Ora è un uomo anziano, bolso; capelli: pochi e tutti bianchi. Molto riservato, si sa poco di lui. Gli piace pescare.
Se voleva cambiare il mondo, be’, non c’è riuscito. Non c’è riuscita neanche sua moglie, ma lei ci è andata molto più vicina.
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