Chi era Anna Politkovskaja, la reporter russa che osò denunciare il regime di Vladimir Putin, gli eccidi della guerra in Cecenia e gli orrori perpetrati da Ramzan Kadyrov?
Per scrivere il mio romanzo Anna Politkovskaja. Reporter per amore edito da Morellini ho studiato la sua vita. Letto i libri che ha scritto e che su di lei sono stati scritti. Ho intervistato le persone che le sono state vicine: la sorella Elena, l’amica Nadia, l’inviata Stella Pende… Poi, intorno alla sua biografia, ho costruito una cornice narrativa che ha reso più accattivante la sua biografia, già però molto avvincente.
A seguire, un capitolo alla volta, ecco la biografia, completa e approfondita, di Anna Politkovskaja, la grande reporter russa che, fino all’ultimo, fu una spina nel fianco per Vladimir Putin, Ramzan Kadyrov e tutti i soldati russi che, in Cecenia, si macchiarono di reati gravissimi.
Questa è la sedicesima puntata. La quindicesima è: All’estero
L’omicidio
“Morire? È una possibilità. Come un soldato che vede gli altri andarsene e si prepara”
Mosca, sabato 7 ottobre 2006. Di solito, l’autunno russo è freddo e piovoso, ma non quel giorno, in cui invece il clima è insolitamente clemente. La capitale russa, infatti, è graziata da una giornata tiepida e soleggiata. Mentre molti suoi concittadini si godono qualche ora di spensierato relax, Anna no. Anna sta vivendo uno dei periodi più difficili della sua vita.
Nove giorni prima il padre Stepan, diplomatico in pensione, è morto d’infarto. Stava uscendo dalla metropolitana, mentre andava a trovare in ospedale l’amata moglie Raisa, a cui era stato da poco diagnosticato un tumore. Il suo cuore non ha retto al dispiacere per la malattia della compagna di una vita. E lei, a sua volta, troppo indebolita dalla malattia, non era stata neppure in grado di partecipare al funerale del marito.
“Vostro padre mi perdonerà, perché sa che l’ho sempre amato”, dice Raisa alle figlie, il giorno in cui lui è stato sepolto. Una settimana dopo, subisce un intervento chirurgico e da allora Anna ed Elena, tornata apposta da Londra dove vive da anni, si alternano al suo capezzale.
Anna – Anya, come la chiamano in famiglia – vive da sola con il suo cane Van Gogh, un trovatello. “Fa pipì in continuazione. Tutto lo spaventa. Prima era stato picchiato e abbandonato due volte” scrive Anna. È malato, qualcuno le consiglia di sopprimerlo, ma lei: “Non appartengo alla tribù degli animalisti folli, quelli che amano i cani più degli uomini. Io gli uomini li amo più dei cani. Ma non sono capace di tradire. Soprattutto se so che quell’essere vivente non sopravvivrebbe a un altro abbandono: morirebbe senza di me”.
C’è una foto, di loro due, insieme. È un’immagine in bianco e nero, che avvalora il detto secondo cui cane e padrone, alla lunga, finiscono per assomigliarsi. Hanno entrambi un’espressione malinconica. Sono in auto, non a caso. “Van Gogh adora viaggiare in macchina, o anche soltanto starci seduto dentro. Un piccolo spazio chiuso e isolato dal resto del mondo dove esistono solo lui e la sua padrona. Per lui è il territorio più sicuro al mondo. Si calma immediatamente, tutte le paure sono scomparse”.
Nella foto, Anna è al posto di guida e Van Gogh dietro. Lei guarda in camera, ma appare presa da altro. Il cane ha lo sguardo perso nel vuoto. Due solitudini che sembrano aver trovato un punto d’incontro. Del resto, non a caso lei ha scritto: “Tutti ti piantano, tutti si stancano di te, solo il cane non smette mai di amarti”.
Anna ha di recente cambiato casa, anche per motivi di prudenza. Vive in un piccolo appartamento – decoroso per gli standard occidentali, ma con qualche velleità per quelli russi – al settimo piano.
Per aprire il portone serve un codice di sicurezza. L’indirizzo è via Lesnaja 8/12, il quartiere è abbastanza centrale. Non è lontano da dove abitava prima. Nei pressi ci sono una fermata della metro e delle banche. Una bella zona, tutto sommato.
In un periodo per lei e la sua famiglia tanto buio, c’è però una luce. Sua figlia Vera – un passato nella musica e un presente nel giornalismo, come i genitori – è in dolce attesa. Anna è felice della prospettiva di diventare nonna. Una nonna ancora giovane, che ha (avrebbe) tante energie da dedicare alla futura nipotina. “Se arrivano i nipoti, potrei anche cambiare vita” ha detto una volta Anna. Chissà se lo pensava davvero…
Racconterà Vera: “In quegli ultimi giorni, passavamo molto tempo insieme. Mia madre cercava di curarmi, accudirmi. Non mi faceva portare le borse, non mi faceva fare niente. Mi ero trasferita a casa sua, perché da me avevo lavori di ristrutturazione e perché ero incinta. Quel 7 ottobre ero in giro per negozi. La chiamavo di continuo per avere da lei consigli sulle cose da comprare per casa, per l’arredamento”.
In passato, Anna è sempre stata molto attenta e prudente. Ha cercato di cambiare spesso percorsi e orari. E non essere prevedibile.
Ma la situazione di necessità stravolge tutto. Gli altri hanno bisogno di lei e lei si mette in secondo piano.
Secondo alcune ricostruzioni, da settembre aveva iniziato a essere pedinata. I suoi itinerari cominciano a essere sempre più o meno gli stessi. Alterna le passeggiate con il cane alle visite in ospedale. Probabilmente, nel frattempo, il killer fa dei sopralluoghi nel palazzo, di cui gli hanno fornito indirizzo e codice di accesso.
Quel pomeriggio, Anna è andata a fare spese nel centro commerciale Ramstor. Compra anche, per la madre, medicine e articoli sanitari che l’ospedale non fornisce. L’ultima immagine che abbiamo di lei è scattata da una telecamera di sorveglianza del supermercato. In quel momento, le restano da vivere un’ora e 39 minuti. La vediamo varcare una porta, vestita di nero, il piglio deciso. È scura in volto, ha fretta. Immagina ciò che sta per accaderle. O forse no. Lo aspetta da così tanti anni che, chissà, sta cominciando a pensare che la farà franca.
In fondo, è prudente. Controlla ogni giorno che non ci siano bombe sotto la sua auto. È attenta a frequentare solo persone degne della massima fiducia. Ha dato retta al suo caporedattore Dmitry e ha smesso di andare in Cecenia.
Certo, due giorni prima, ha rilasciato un’intervista a Radio Svoboda, in cui ha dichiarato, senza mezze misure, di augurarsi di vedere Ramzan Kadyrov, primo ministro ceceno, “seduto al banco degli imputati e con un’inchiesta e un processo rigorosi, con l’elenco di tutti i crimini che ha commesso”. Bel regalo gli ha fatto, per il suo compleanno: Kadyrov, infatti, proprio quel giorno ha compiuto 30 anni. Questa “coincidenza” è passata piuttosto inosservata.
Non ne passa invece sotto silenzio un’altra. Il 7 ottobre, infatti, è il giorno del compleanno, il 54°, di un altro bersaglio delle denunce di Anna: il presidente della federazione russa Vladimir Putin.
Non solo, Anna ha raccolto prove e testimonianze riguardo a una serie di terribili torture ai danni di civili ceceni, su cui sta preparando un articolo.
Ma torniamo a quella telecamera di sorveglianza. Le riprese provano che Anna, mentre faceva compere fra le corsie, era seguita. A tenerla d’occhio c’erano una giovane donna e un uomo alto e snello, con il volto nascosto da un berretto da baseball.
Arrivata alla cassa, chiama il figlio, che le dice di essere prudente. Certo non si preoccupa della sua condotta alla guida: lei è un’autista diligente, va piano e sta sempre nella corsia di destra.
Una volta terminata la spesa, Anna carica le borse (quattro, dettaglio non secondario) sulla sua macchina. Certo le inchieste non l’hanno arricchita, se si muove su una Lada Vaz 2101 Ziguli color argento. Si tratta di una vecchia auto di produzione russa (dal 1970 al 1988), realizzata sul modello della Fiat 124 per il mercato sovietico. Parcheggia a pochi metri dall’ingresso di casa. Non sono ancora le 16.
Una vicina racconterà di aver notato, qualche minuto prima, strani movimenti fuori dal portone. Una ragazza e due uomini sconosciuti che digitano il codice di sicurezza ed entrano.
Le sporte sono pesanti, perciò Anna deva fare due viaggi.
Racconta il figlio Ilya: “La stavo raggiungendo per aiutarla a portare le borse della spesa. E l’ho persa per un soffio”.
Anna digita il codice, entra nell’androne, prende l’ascensore.
L’ascensore è un luogo centrale in questa storia. Lo visita, qualche tempo dopo, Igor Tuveri, in arte Igort (fumettista, sceneggiatore, scrittore, musicista e regista). “È angusto. Mi fa uno strano effetto entrarci e vedere che qualcuno ha dipinto alle pareti dei fregi natalizi. Rozzamente, alla bell’e meglio. Non posso fare a meno di pensare che si è voluto coprire il ricordo di quelle macchie di sangue” scrive nella sua graphic novel Quaderni russi.
Anna arriva al suo piano, deposita le prime due borse a casa, riprende l’ascensore per scendere a recuperare le due rimanenti. Le porte dell’ascensore si aprono.
Ad attenderla c’è un uomo a viso scoperto, con un cappellino. Impugna una pistola, una Makarov 9 millimetri, con il silenziatore. Spara cinque colpi. L’ultimo alla nuca. È un’esecuzione.
Bastano appena 24 secondi a ucciderla.
Sono le 16 e 02.
Un attimo e poi il buio. Anna non deve aver avuto neppure il tempo di spaventarsi. I suoi nemici le hanno riservato una vita piena di amarezze, ma almeno il suo assassino le ha destinato una morte rapida. La sua è stata una lenta agonia colma di minacce, insulti, intimidazioni. Ma anche indifferenza e disprezzo. L’ultimo passo è stato un attimo. Un colpo di pistola, seguito da altri quattro. Ma già lei non c’era più.
Poi il killer lascia la pistola lì, accanto al cadavere di Anna. Alle prime indagini non risulterà che questa arma abbia ucciso nessuno prima di allora. Ma abbandonarla così equivale a dare un messaggio ben preciso: si tratta di un omicidio su commissione.
Prosegue Ilya: “Ero in macchina. L’ho chiamata per avvertirla che stavo arrivando, ma non rispondeva al telefono. Ho pensato che fosse solo troppo occupata. Poi sono arrivato davanti al suo palazzo e ho visto la polizia”.
Anche Vera sta chiamando la madre. Invano. Così telefona al fratello.
“Dopo un po’ Ilya mi ha chiamato e mi ha detto quello che era successo, che nostra madre non c’era più. Ho fatto la strada di corsa. Sotto casa di lei ho trovato tanta polizia. Sapevo che l’appartamento era stato messo sottosopra, sequestrato il computer. Ma abbiamo dovuto aspettare tanto per salire a casa di mamma. Non riuscivo a credere a quello che era successo, non volevo crederci, ma l’avevano uccisa”.
Il cadavere è lì, accanto agli ultimi poveri acquisti di Anna.
“Un’immagine che mi ha sempre generato dolore è quella delle buste della spesa che si sono aperte, quando è caduta. Nelle buste c’erano biscotti, croccantini per il cane malato, una padella per la mamma in ospedale. Da quelle buste si poteva vedere una vita difficile, che però Anna riusciva a gestire. Da un lato, combatteva uno dei regimi più potenti della terra e dall’altro si occupava di una madre in ospedale e un cane malato: un universo di sfortuna. La sua era la vita di una persona assediata dal quotidiano” ci ha raccontato Roberto Saviano. Che ha aggiunto: “Tempo prima, avevano ucciso in zona una persona che somigliava a lei. Avevano fatto un errore: era lei l’obiettivo. Ma, nonostante tutto, Anna è andata avanti”.
In breve, la notizia arriva anche al marito Alexander. “Stavo dormendo, è suonato il telefono ma non sono riuscito a rispondere. Dopo qualche minuto è suonato di nuovo: era la radio Eco di Mosca. Mi hanno detto: ‘Ha saputo quello che è successo a sua moglie? L’hanno ammazzata’”.
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